Ben ritrovatati, possiamo saltare la parte dove mi scuso per essere latitante da una vita e passare subito all’oggetto di oggi? fatelo per me perché mi sento già abbastanza in colpa 😉
Come da titolo (strano ma vero) oggi narrò di Orange is the new black, una serie televisiva statunitense trasmessa in streaming su Netflix e ideata da Jenjy Kohan che tra le altre cose è autrice di Weeds (altra serie di cui vi parlerò), coautrice di Sex and the city, una mamma per amica e di Will & Grace.
La serie deve la sua ispirazione alle memorie di Piper Kerman, scrittrice statunitense condannata per riciclaggio di denaro sporco che racconta la sua esperienza in un carcere femminile nel suo libro “Orange is the new black: My year in a Women’s prison.
Prima di entrare nel vivo della serie però (ovviamente senza alcuno spoiler, perché mi indispongono parecchio le recensioni dove si svela tutto) vorrei fare un elogio personale alla sua sigla “You’ve Got Time” scritta e composta appositamente per la serie da Regina Spektor.
La Spektor è stata contattata direttamente dall’ideatrice che durante la stesura della serie ha ascoltato i suoi album in loop infinito e con cui aveva già collaborato per una cover di “Little Boxes” in Weeds.
La canzone parte con un ritmo serrato quasi aggressivo per poi “rilassarsi” nel bridge, il suo testo parla letteralmente di una prigione, ma da anche un senso di speranza, redenzione e perdono, io l’ho amata dal primo attimo e non a caso “You’ve Got Time” è valsa alla Spektor la prima nomination ai 56° Grammy Awards nella categoria “best song written for Visual media”.
In tutto la serie si compone di sei stagioni per 13 episodi ciascuna e mi piace pensare che non rimarranno sei, parebbe infatti che Netflix abbia rinnovato per una settima.
Il tutto comincia con Piper Chapman, una giovane donna che viene condannata a scontare una pena di quindici mesi nel carcere femminile di Litchfield per un fatto avvenuto dieci anni prima, quando aveva trasportato denaro dalla provenienza illecita per conto della trafficante internazionale di droga Alex Vause di cui era amante.
Ovviamente la sua vita in carcere si intreccia con quella di molte altre detenute, tra le quali la stessa Alex, provenienti da realtà diverse e disparate, a volte in netto contrasto con la sua immagine di donna precisa appartenente all’alta borghesia newyorkese.
Ma questa serie non racconta solo la storia di Piper, diciamo che Piper è il veicolo per raccontare la vita di donne afroamericane, sudamericane e anziane in prigione, per affrontare dei temi “spinosi” come il razzismo, l’omofobia, il sesso, la violenza ma anche la speranza.
Personalmente ho amato Orange is the black proprio per il potere che ha di “non indorare la pillola” perché la verità è nuda e cruda, cosi come le speranze delle persone che hanno fede nel poter cambiare con tutta la difficoltà che comporta avere la fedina penale sporca.
Lo spettatore si ritrova ad affezionarsi alle detenute, alle loro battaglie, alle loro gioie e dolori perché le scopre umane, forti e fragili allo stesso tempo e soprattutto perché il messaggio che passa è che nella vita può capitare a chiunque di commettere un errore, ma che non per questo si debba continuare a perseverare. Ovviamente ci sono anche personaggi negativi che non avranno la possibilità di redimersi, sia tra le guardie carcerarie che tra le detenute, ma è ben chiaro che la loro è una scelta in alcuni casi consapevole in altri legata a vere e proprie malattie mentali.
Eccomi al momento “maestra dalla penna rossa” il mio voto è un 8 pieno, la super consiglio soprattutto per chi ha il “pregiudizio facile” rispetto al diverso.
Per oggi è tutto, prometto che non sparirò nuovamente, buona visione e alla settimana prossima per un nuovo capitolo.